di Larissa Vannucci Pistoia La musica caraibica già ad un primo ascolto fa venire in mente l'estate, il sole, le spiagge dorate e il caldo; è allegra, vitale, coinvolgente e quasi sempre il primo approccio con il ballo è accompagnato dalla stessa gioia e voglia di divertirsi. Abbiamo visto la storia e le origini della salsa, del son e della rumba nati dall'incontro tra le tradizioni degli schiavi africani con le influenze dei ritmi importati dai conquistatori europei. Spesso allievi provenienti da formazione ed esperienza diversa, impacciati nel ballare questi ritmi, giungono alla conclusione che per i cubani o latino-americani, più in generale, ballare è più facile perché “ce l'hanno nel sangue”. In pratica è pensiero comune che una specie di codice genetico stampato in una qualche tacca del Dna permetta loro di muoversi con una cadenza e una scioltezza generalmente negata dalla nascita, a noi europei, per colpa di una struttura fisica inadeguata e una imprecisata “deficienza” ereditaria. Per saperne di più abbiamo intervistato il maestro di balli caraibici Michele Tancredi, istruttore federale Fids (Federazione italiana danza sportiva- Coni) Maestro, è vero che i popoli caraibici hanno il ballo nel sangue? Per rispondere alla sua domanda credo sia necessario fare almeno un paio di considerazioni. Non penso si possa stabilire in assoluto un’unica verità. La cultura, gli usi, i costumi, il folklore, le tradizioni di questi popoli sono state trasmessi alle nuove generazioni spesso in modo verbale creando differenze interpretative tra persone della stessa aerea geografica ma di comunità diverse. Date le premesse e venendo alla sua domanda direi, come spesso accade, che la verità sta nel mezzo. E’ probabile che la struttura fisica di una determinata etnia sia più predisposta ad eseguire meglio particolari movimenti rispetto ad altre. Di contro é verosimile che una buona tecnica aiuti a colmare carenze là dove necessitano. Personalmente penso che il modo di interpretare un ballo, più che dalla struttura fisica o dal sangue, dipenda prevalentemente da un fatto culturale e quindi dalla mentalità. Il significato che si dà ad un gesto o ad un movimento è probabilmente diverso se eseguito da un africano piuttosto che da un eschimese. Ma là dove le etnie hanno la stessa struttura fisica, ad esempio toscani e romagnoli, è lecito chiedersi perché ballano un valzer in modo diverso. Eppure parliamo della stessa etnia. Evidentemente le tradizioni, la mentalità e quindi la cultura di una, se pur piccola comunità, ancorché confinante, determina differenze palesi. Direi, infine, che anche dalla musica sulla quale si balla possono scaturire differenze tanto interpretative quanto stilistiche. Si balla per il gusto di ballare e per le sensazioni che dà la musica o c'è dell'altro? Ogni ballerino, nel suo piccolo, è un coreografo e per interpretare al meglio un ballo non può esimersi dalle sensazioni che la musica trasmette. Ma anche qui occorre domandarsi il contesto in cui si balla. Proviamo ad immaginarne almeno due: ballare in una competizione oppure in una discoteca. Nel primo caso i competitori, vista la finalità del ballo, devono stimolare l’interesse dei giudici alfine di ottenere più voti; quindi valori come il rispetto del tempo musicale e la tecnica per citarne alcuni hanno un’importanza fondamentale; si aggiunga che nelle competizioni nessun ballerino sa preventivamente su quale brano dovrà gareggiare; ne consegue che la coreografia preconfezionata (sempre la stessa) e sulla quale si allenano per mesi dovrà adattarsi necessariamente al brano scelto dal dj ufficiale e non di rado la musica mal si sposa con la coreografia. Nel secondo caso si dovrebbe ballare per il gusto di farlo e per divertirsi incuranti di chi ci circonda ma rispondendo solo ed esclusivamente agli stimoli dettati dalla musica e… dal partner. Purtroppo, nelle discoteche, assistiamo talvolta a vere e proprie esibizioni spettacolari, tese più ad ottenere il consenso dei presenti che a quello del partner. Credo quindi che entrambi i modi interpretare un ballo abbiano pari dignità purché relegati nel contesto appropriato. La correttezza di un passo o di un gesto sono legati a qualcos'altro oltre che ad fatto puramente tecnico? Oltre alla tecnica penso ci sia altro. Il praghese Jiri Kylian autore-coreografo di maggior spicco nel panorama del balletto contemporaneo mondiale, nonostante il suo retroterra classico, tipico di chi si è formato nell’Est europeo, parlando degli aborigeni, sostiene: “Per questi popoli danzare fa parte della vita e viceversa. Quando danzano non c’è competizione. Nessuno cerca di fare meglio degli altri. Danzano per se stessi, pur appartenendo al gruppo. Muovono le mani in modo straordinario. I loro gesti non sono mai di maniera e riescono comunque ad essere sorprendentemente espressivi. La nostra bella tecnica classica, invece, è una delle più frustanti di tutte perché è stata creata per corpi perfetti, che non esistono; se si vuole diventare ottimi ballerini una buona tecnica ci permetterà di essere particolarmente espressivi ma resterà inevitabilmente il dubbio di essere mentitori. Al contrario la maggior parte delle danze etniche non prescrive nessun movimento che non sia naturalmente realizzabile da un fisico umano. Un concetto bellissimo, un’idea molto più umana di quella della danza classica che resta comunque bella ma non è la Bibbia perché ci sono anche altri modi di esprimere il movimento”. Allora tutti possono ballare? Il ballo è cultura? Direi proprio di sì e a mio avviso sarebbe auspicabile approfondire la cultura del popolo a cui è legata la danza che si intende imparare. Il ballo e la musica (sua “sposa”) dunque, hanno un linguaggio universale che unisce popoli e razze senza limiti di età; è un porto franco, non necessita di passaporto e nemmeno di interprete per comunicare a patto di lasciarsi trasportaredalle sensazioni in un contesto dove non sia preclusa a nessunola possibilità di praticare con profitto e allegria.