di Giorgio Barontini Pistoia. Il “Camino“ lo abbiamo scoperto nell'anno 2000, quando, per la prima volta, lo percorremmo interamente, circa 750 chilometri, da Roncesvalles a Santiago. Al nostro arrivo in piazza dell'Obradoiro, davanti alla superba cattedrale, per la tensione nervosa accumulata in ventisette indimenticabili giorni, vissuti con lo zaino sulle spalle – dieci chili quello di Naida e quattordici il mio -, scoppiammo a piangere come bambini. Da allora, tutti gli anni, escluso due per motivi famigliari, non abbiamo mai perso l'appuntamento con la dolce, calda terra spagnola. Non sempre siamo partiti da Roncesvalles e non sempre abbiamo fatto l'intero percorso, specie negli ultimi anni dato che da tempo abbiamo valicato il “mezzo del camin di nostra vita”. I percorsi di pellegrinaggio che attraversano l'Europa ed in particolare la Spagna per poi confluire a Santiago, sono numerosi, e noi ne abbiamo fatti diversi, ma quello che ormai è considerato il “Camino” per antonomasia, parte da St. Jean Pied de Port in Francia, o da Roncesvalles in Spagna. Fra le due località ci sono ventisette chilometri: si parte da 230 metri di altitudine per scavalcare i Pirenei a 1480 metri. Naida ed io abbiamo sempre preferito iniziare da Roncesvalles perché per noi “Camino'' vuol dire Spagna: solo una volta siamo partiti da St. Jean e devo riconoscere che anche questa tappa ha un suo fascino particolare. In tanti anni abbiamo appreso che gli spagnoli in particolare, anche per motivi di tempo, non tutti dispongono di trenta giorni per fare l’intero percorso, per questo lo suddividono in tre anni: Roncesvalles – Burgos, il secondo Burgos-Leon, il terzo Leon-Santiago. Quest'anno anche noi ci siamo conformati a questa consuetudine, non per mancanza di tempo ma più prosaicamente di gambe. Avevamo molti dubbi sulla nostra possibilità di fare i trecento chilometri di questa ultima parte del camino dato che in quseto tratto si devono superare i due tetti massimi: la “Cruz de Ferro”, 1450 metri e “El Cebrero” a 1300 metri. Al di là di questi dubbi una certezza l'avevamo, o tutto a piedi o nostro malgrado con l'aiuto di un autobus, a Santiago ci saremmo arrivati perché là ci aspettava la sorella di Ramon. Ramon, un nostro carissimo indimenticabile amico spagnolo, professore di storia dell'arte è innamorato della sua terra e del prossimo, e per dieci anni è stato inseparabile compagno dei nostri pellegrinaggi. Lui ne aveva fatti trentadue e ci ha lasciati per una grave malattia nel luglio di questo anno. Orbene, con tutte queste certezze, ma anche dubbi e perplessità, con i nostri zaini, questa volta un po' più leggeri siamo partiti. Alle 9 aereo Pisa-Madrid, poi autobus Madrid-Leon ed alle 18, con tanti ricordi che ci turbinavano in testa, abbiamo varcato, per l'ennesima volta la soglia dell'albergo dei pellegrini. A Leon è questo l'albergo preferito: è situato nella quieta piazza di Santa Maria del Mercado, vicino alla cattedrale e gestito dalle monache benedettine di Santa Maria de Carvajal. Qui si può dormire in grandi camerate, cinquanta, sessanta lettini a castello, spaziati di un metro l'uno dall’altro, corredati di materasso, lenzuolo di tessuto non tessuto, sul quale distendere il proprio sacco a pelo, guanciale ed una coperta. Come in tutti gli altri alberghi, ci sono servizi igienici discreti con docce calde, salette di lettura e servizio internet che non sempre si trova. Alle ventidue il portone d'ingresso viene chiuso, si spengono le luci ed alle otto del mattino i locali devono essere abbandonati. Al nostro arrivo la prima operazione è stata quella di registrarsi e munirsi della “Credenziale”, un documento ad organetto sul quale vengono riportati nome, cognome, il numero della carta d'identità, la data di arrivo e il modo di percorrenza: a piedi, in bicicletta, a cavallo. Su alcune credenziali vengono indicati anche il motivo del pellegrinaggio, le regole da rispettare ed una piantina di massima del percorso. Il documento è completato da pagine quadrettate dove, all'arrivo delle varie tappe va apposto il timbro della località e la data per attestare l'avvenuto passaggio. Alle 21,30 le suore celebrano una breve funzione con la benedizione finale dei pellegrini che si accingono a partire. L'albergo, con nostra grande sorpresa è pieno come un uovo, alla funzione però siamo in pochi e già lì avvertiamo che qualcosa è cambiato e sta cambiando nel Camino di Santiago. Al mattino, già alle cinque, si avvertono i primi diabolici scartoccii dei sacchetti di plastica ripiegati ed infilati a forza negli zaini. Bisbigli sommessi, qualcuno che russa sonoramente e lettini che cigolano mentre tenui sciabolate di luce ricercano gli oggetti sparpagliati in terra e sui giacigli. Evviva, siamo sul “Camino”. Le partenze iniziano sempre a quest'ora anche se riteniamo che avviarsi cosiì presto è logico nei mesi estivi per evitare il caldo terribile del pomeriggio e godere del sorgere del sole: a fine settembre con le albe fredde ed il buio che specie nei boschi regna fino alle otto, è preferibile avviarsi alle sette. E' affascinante traversare Leon alle sette; s'incontrano solo pellegrini con i loro zaini e qualche raro passante che si reca al lavoro. Passiamo davanti alla “Casa de Botines” capolavoro neogotico di Gaudì e poi seguiamo la “Calle Ancha” per arrivare alla cattedrale. Eccola la “Pulchra Leonina “ cosi detta per lo stile puro e la sua esaltante bellezza, fu costruita in duecento anni dal 1255 al 1455, altro capolavoro del gotico in Spagna anche se una delle due torri che fiancheggiano la facciata è cinquecentesca. Ci sediamo e cerchiamo di riempire la nostra memoria con questa immagine, chissà, potrebbe essere anche l'ultima volta. Nella piazza troviamo il primo bar aperto e prendiamo un cappuccino caliente. Lasciamo il centro storico e seguendo le conchiglie di ottone sui marciapiedi o le frecce gialle sui muri e sui cartelli, raggiungiamo la periferia. La città non è più compatta con palazzi incollati a palazzi, si apre qualche varco e giardini, parcheggi, spazi liberi, e campi verdi si moltiplicano. Inizia la campagna, ricordiamo il percorso che fiancheggiava la strada nazionale fino ad Hospital de Orbigo ed ogni Tir che passava salutava i rari pellegrini con tre colpi di clacson, adesso siamo talmente tanti che si udirebbe un suono continuo.- Troviamo una segnalazione che ci invita a lasciare il percorso tradizionale per passare da Mazarife. Scegliamo il nuovo percorso, davanti e dietro di noi pellegrini a iosa, in coppia, solitari, a gruppetti ma in compenso nessun rumore della civiltà, nessuna costruzione, solo spazi verdi a perdita d'occhio, alberi, prati fioriti, cespugli rigogliosi e qualche raro campo coltivato. Ritengo opportuno precisare a questo punto che una volta il percorso era ben identificato e certo: esistevano poche e rare varianti storicamente provate, adesso i paesi, le località che rivendicano il diritto di trovarsi sul vero “Camino” sono numerose e tutte vogliono la loro parte di business. Business direte voi, cosa c'entra? E' così cari amici, ormai in questi ultimi dieci anni i pellegrini, se così vogliamo chiamare una buona parte delle migliaia e migliaia di persone che sempre più affollano il “Camino francese” si sono moltiplicate; centinaia di migliaia sono i piedi che calpestano quel terreno una volta viatico di riflessione, pentimento, espiazione e ricerca di Dio. Con tutto questo non voglio affermare che oggi non esistono più pellegrini veri, direi una grossa sciocchezza anche perché sul “Camino” si può sempre incontrare Dio, ma certamente il loro numero si è notevolmente ridotto e molti lo percorrono solo per turismo e per raccontarlo agli amici. Ma torniamo al nostro viaggio. Nell'anno 2000 oltre ad un numero limitato di alberghi, gran parte della chiesa, poteva capitare di non trovare il benché minimo posto di ristoro per chilometri e chilometri. Pur attraversando piccoli o medi paesi, fino alle dieci, undici del mattino non trovavi neppure l'ombra di un qualsiasi locale aperto per un caffè, un panino, una frutta o più semplicemente un bicchiere d'acqua. Oggi il percorso è pieno di alberghi municipali, locande, case private, che ti offrono da dormire e bar che alle 6,30 sono già pronti a darti la prima colazione. Negli alberghi si trovano moderne cucine per prepararsi la cena, ci sono lavatrici, asciugatore, collegamenti internet e libertà di rientrare anche alle undici o mezzanotte. Nei primi anni il pernottamento era quasi sempre ad offerta (donativo); ricordo che a Sansol in un piccolo, isolato alberghetto, si dormiva su un materasso posto sul pavimento e si cenava con gli “hospitaleros”, i due frati che lo gestivano. Sopra la cassetta delle offerte, senza coperchio, che si trovava nell'ingresso campeggiava un cartello: “Se puoi dona, se hai bisogno prendi”. Sarò lieto se questa mia testimonianza risveglierà nei lettori il desiderio di vivere questa esperienza che malgrado i guasti provocati dalla vita moderna conserva inalterato un alto valore etico, morale e religioso.