C’era una volta l’ospedale “Lorenzo Pacini”, dal nome di un antico benefattore. Piccolo ma organizzato, era uno spazio nel quale tutti i cittadini della Montagna Pistoiese (e non solo) trovavano aiuto in caso di malattia. Regole da “economia di scala” e valori numerici asettici tarati sulle grandi città hanno, via via, cercato di chiuderlo, ma grazie all’impegno comune – della popolazione e di amministratori attenti – il presidio ha beneficiato sempre delle deroghe necessarie proseguendo a svolgere la sua preziosa funzione. Un tempo non molto lontano operavano, nel piccolo ospedale montano, professionisti formati alle migliori tecniche di chirurgia – e ortopedici di talento – che curavano persone, residenti o meno, che qui ricevevano cure mediche adeguate e trovavano anche, cosa fondamentale, un’atmosfera familiare da ospedale “umano”. Lo sottolineò molto bene, con sole cinque parole, l’ex ministro della Sanità Rosy Bindi che durante una visita al “Pacini” ebbe a dire: “qui sento aria di casa”. Il Presidio ospedaliero montano, con i suoi 112 posti letto, era uno spazio sicuro e accogliente. Ma all’improvviso il mostro cattivo della riorganizzazione e dei tagli è piombato sulla montagna pistoiese: ciò proprio mentre a Pistoia i costi preventivati per il nuovo ospedale crescevano a dismisura e mentre a Massa Carrara qualcuno sembra comprasse orologi e gioielli, con i soldi pubblici, fino creare 300 milioni di euro di debito. Mentre altrove si sprecavano soldi, a San Marcello l’inflessibile rigore si è mangiato non solo i posti letto ma pure l’anestesista, i chirurghi e gli ortopedici. Se nella nostra ASL3 si continuano a dare costose e inutili consulenze, se esistono innumerevoli e superflue strutture complesse – poco coerenti con una organizzazione snella ed efficiente – con compensi da centomila (!) euro l’anno (8 mila euro ogni mese!), se la spesa farmaceutica è da svariati anni superiore alla media toscana (qualche milione di euro annui), se la struttura amministrativa dell’ASL3 è sovradimensionata (non si è ridotta col passaggio di funzioni all’ESTAV) sottraendo così risorse alla clinica e ai medici impegnati in prima fila nei reparti, se in provincia di Pistoia la media dei posti letto in rapporto alla popolazione è una fra le peggiori d’Italia (con 2,1 posti letto ogni 1.000 abitanti): se tutto questo è vero, ed è purtroppo vero, chi pensa a chi abita in montagna? Dopo il taglio delle sedi in cui lavorano le forze dell’ordine, dopo i tagli degli uffici postali e del trasporto pubblico, adesso si chiude, nella sostanza, anche l’ospedale: alla faccia della solidarietà e del principio di sussidiarietà. Ci sarà un potenziamento della “prevenzione” sul territorio (ma siamo sicuri che i medici di famiglia e le guardie mediche siano davvero tutti pronti a creare poliambulatori aperti fino a mezzanotte sette giorni su sette?); aumenterà la telemedicina (peraltro già presente da diverso tempo in tutti i presidi ospedalieri dell’ASL3). Aumenteranno i posti letto di area medica (6: ma forse con l’unico obiettivo di aumentare le volte in cui i malati dovranno essere trasferiti all’ospedale di Pistoia). Ma il servizio di Ortopedia, così prezioso in particolare nei mesi invernali nelle vicinanze dell’Abetone, sarà concentrato solo nell’ospedale di Pistoia, anche se è stata fatta una deroga fino al 7 aprile assicurando la presenza dello specialista dalle 10 alle 18 nei weekend. E dopo? La risposta è purtroppo facile: tutti a Pistoia. Se fino a ora abbiamo potuto avere, in Montagna, un’assistenza adeguata è anche perché, con dedizione, il personale (medici, infermieri, collaboratori) ha dimostrato di credere nel fatto che la sanità non è un lusso per pochi ma un diritto per tutti. L'errore di fondo, in effetti, è pensare alla sanità come a un “lusso” che oggi non possiamo più permetterci: si sta parlando di malati, di presidii, di cure, di farmaci, non di uffici. Dovrebbero interessarci le persone concrete, non i numeri teorici. E non è giusto spazzare via un ospedale solo per un decreto firmato a Roma. Così non si fa altro che amplificare sempre di più differenze già vistose. Dispiace constatare che sia proprio la Regione Toscana a operare tagli così ingiusti. Altra cosa sarebbe stato avviare un dialogo con la comunità, in modo da capire quali servizi non sono sufficienti e quali sono da aggiungere o da potenziare. Ben venga la cosiddetta “casa della salute”, ma questo non deve escludere la presenza di un vero pronto soccorso e di un presidio ospedaliero sia pure di piccole dimensioni. Tommaso Braccesi Gabrio Fini