La ricollocazione del villaggio Rom del Brusigliano è una scelta obbligata anzitutto da ragioni etiche. Chi solleva polemiche con argomenti dal retrogusto demagogico non dovrebbe mai dimenticare di riferire la condizione di vera e propria emergenza umanitaria in cui versa la comunità residente in quell’area. La situazione attuale provoca vergogna in chiunque abbia non voglio dire una cultura democratica e neppure una coscienza cristiana, ma se non altro un minimo di sensibilità umana.
Dopo quattro lunghi decenni di colpevoli ritardi e omissioni, si offre finalmente una concreta occasione, anche finanziaria, per risolvere in modo duraturo quell’emergenza; occasione che sarebbe imperdonabile non cogliere per amor di polemica.
Non scordiamolo mai: l’attuale villaggio è costretto tra un collettore fognario (il torrente Brusigliano) e una discarica abusiva di rifiuti, in mezzo ai ratti e all’immondizia, e risulta costantemente a rischio di incendi e allagamenti. Le baracche sono fatiscenti, umide, precarie e versano in condizioni igieniche e sanitarie a dir poco rischiose, in particolare per i bambini. Chi vi risiede ha serie difficoltà nello svolgimento delle più banali attività di vita quotidiana. Lavarsi, cucinare, mangiare in ambienti igienici appaiono purtroppo privilegi ancora oggi negati a queste persone.
Una situazione all’origine del bisogno urgente e continuo di interventi tampone che, a proposito di costi, ha comportato un lento ma inesorabile stillicidio di denaro pubblico, a fondo perduto, per riparare le baracche, derattizzare e bonificare l’area, ripulire gli argini, assicurare l’approvvigionamento d’acqua, l’erogazione dell’energia e il riscaldamento.
Ebbene la soluzione trovata dal Comune supera in via definitiva questa situazione indecente.
L’area ex Sciatti, dove si è deciso di spostare il villaggio, è stata scelta dopo una fase assai costruttiva di concertazione e in accordo con la comunità Rom che vi risiederà e costruirà, in larga parte autonomamente, le nuove abitazioni sotto la direzione di uno staff individuato dalla Fondazione Michelucci: un esempio virtuoso in linea con le indicazioni offerte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri all’interno della strategia nazionale d’inclusione dei Rom.
Non giovano le polemiche fini a se stesse e tanto meno le speculazioni politiche. Parlare, poi, di lager nazista a proposito di questa scelta non è una provocazione ma una solenne idiozia che soltanto una mente offuscata dal risentimento può concepire.
Naturalmente l’obiettivo di lungo periodo dovrebbe tendere verso il superamento della pratica dei villaggi che per loro stessa natura implicano un isolamento maggiore rispetto all’inserimento delle famiglie Rom e Sinti nelle abitazioni dei quartieri urbani. E penso anch’io che dovrebbe essere messa a punto una strategia finalizzata ad una integrazione dolce e progressiva. Ma ancora una volta, se non si vuole prendere la facile scorciatoia del populismo, occorre riconoscere che a quell’obiettivo di inserimento diffuso delle comunità Rom e Sinti negli agglomerati cittadini abitati dalle etnie italiane tradizionali ci si può avvicinare, appunto, solo per tappe successive e graduali concordate con le comunità interessate perché, come insegna l’esperienza, ogni tentativo di assimilazione forzosa e unilaterale è drammaticamente fallito fra le proteste degli uni e degli altri e, lungi dal favorire l’inserimento delle famiglie Rom, ne ha generato un aspro rigetto.
Per questo, non certo per altri motivi, è intanto ragionevole, giusto, necessario dare seguito alla soluzione di cui si parla che se da un lato non rappresenta certo il perfetto inserimento di cui ho detto, dall’altro consente di superare in tempi rapidi l’emergenza e garantisce il pieno rispetto dei diritti umani e dei bisogni fondamentali di ogni persona così ignobilmente negati fino ad oggi alle famiglie Rom residenti sulle sponde del Brusigliano.