Il potere delle parole è molto più forte di quanto comunemente si possa pensare. Con il suo “yes we can”, pronunciato nel celebre discorso del 2008, Barack Obama ha colpito il cuore di milioni di persone, installando negli animi la speranza di “potercela fare”. E’ pur vero che a favore del presidente degli Stati Uniti giocano fattori carismatici non indifferenti e una straordinaria abilità nel public speaking, ma è innegabile che quelle parole, “yes we can”, abbiano creato una piccola rivoluzione emozionale, diffondendo tra la gente un vero e proprio “credo”. E' ovvio che, come l’uso di parole potenzianti può far scaturire emozioni positive, l’uso sbagliato delle parole può portarci inesorabilmente verso il basso. E questo accade sia che ci rivolgiamo agli altri sia che parliamo con noi stessi. Come afferma il formatore motivazionale Anthony Robbins, “Le parole che pronunci con convinzione emotiva diventano la vita che vivi, il tuo paradiso oppure il tuo inferno”. E’ molto diverso, ad esempio, dire a noi stessi “sono distrutto” e dirsi, invece, ” ho le batterie un po’ scariche”. Le emozioni che suscitano i due modi di parlarci sono decisamente diverse e così anche la stanchezza percepita: nel primo caso ci sentiremo molto più stanchi che nel secondo. Soprattutto se quel “sono distrutto” continuiamo a ripetercelo. Le parole, comunque, non sono in sé buone o cattive ma, piuttosto, potenzianti o depotenzianti. Conoscerne gli effetti che possono suscitare sulla mente inconscia (nostra e altrui) può aiutarci a stare meglio con noi stessi e con gli altri. Oltre al “no”, di cui si è parlato nell’articolo “Pnl, perché non dire no?” pubblicato il 31 marzo (e reperibile ancora sulla pagina facebook di Reportpistoia), ci sono altre parole che possono risultare del tutto negative per la comunicazione con noi stessi e con gli altri, frapponendo barriere o sabotando il nostro inconscio. Una vera e propria “droga linguistica” è costituita dai predicati “provo a”, “cerco di”. Molto spesso, di fronte ad una nuova sfida, ci diciamo “provo a superarla” o, ancor peggio, “cercherò di farlo”. Ma non si può “cercare di fare una cosa”: la si fa o non la si fa. Dicendo a noi stessi “cerco di”, il cervello si chiede “vuoi che ci riesca oppure no?”. E utilizzare addirittura il futuro, significa procrastinare ulteriormente la decisione. Altra parola cui fare attenzione è “devo”. Il “devo”, infatti, è autosabotante, perché ci mette di fronte ad un’imposizione, una costrizione che il nostro inconscio può prendere piuttosto male. E poiché la mente inconscia regola automaticamente la maggior parte dei nostri comportamenti, è probabile che ciò che “dobbiamo” ma non “vogliamo” diventi un boomerang. Perciò è utile esercitarsi a stoppare i “devo” che affiorano, chiedendoci se dietro quel “devo” c'è anche un “voglio” e, se sì, cominciare da subito a parlare a noi stessi diversamente, sostituendo il “devo” con il “voglio” o il “posso”. Attenzione anche ai vari “ma” e “però”. Queste avversative fanno sì che la seconda affermazione neghi la prima e sia considerata dal nostro interlocutore come il nostro vero pensiero. Lo stesso avviene anche se stiamo parlando a noi stessi: se ci diciamo, ad esempio, “voglio mettermi a dieta, ma sarà faticoso stare alle regole”, il nostro inconscio si concentrerà sulla fatica e il buon proposito di mettersi a dieta finirà nel cassonetto. Molto meglio sostituire i “ma” e i “però” con la congiunzione “e” oppure con “e anche”. In questo modo persino un’eventuale confutazione viene meglio accettata dal nostro interlocutore. “E” ed “e anche”, infatti, mettono la frase che segue sullo stesso piano di quella che precede, senza porre barriere e aprendo di fatto a più possibilità.   Federica Mabellini Nlp Master Pract